posizione affatto nuova, da nulla giustificata se non dal suo desiderio di dimostrare che anche lui aveva le sue opinioni: una posizione, dunque, in disparte sia dalle strade di Pietroburgo sia di Mosca ove a suo avviso tutte le armate avrebbero dovuto radunarsi e attendere il nemico. Si capiva che questo piano era stato elaborato da tempo da Armfelt e che adesso egli lo esponeva non tanto col proposito di rispondere ai quesiti che gli erano stati posti, quanto allo scopo di approfittare dell'occasione per poterlo esporre. E altro non era se non una delle infinite proposte che si potevano avanzare, non più e non meno fondata delle altre, senza aver nozione della fisionomia che la guerra avrebbe assunto. Alcuni contestarono la sua opinione, alcuni la difesero. Il giovane colonnello Toll si oppose con maggior fervore degli altri all'opinione del generale svedese, e mentre discuteva levò di tasca un taccuino fitto di appunti, chiedendo il permesso di leggere. In questo suo prolisso promemoria Toll proponeva per la campagna in corso un piano diametralmente opposto a quelli di Armfelt e di Pfühl. Paolucci, replicando a Toll, caldeggiò un piano di avanzata e di attacco, che a suo parere era il solo in grado di sottrarci alla trappola (come egli definiva il campo della Drissa) e alla situazione perigliosa e incerta in cui ci trovavamo. Durante queste discussioni Pfühl e il suo interprete Wohlzogen che gli serviva da ponte nei rapporti con la corte tacquero sempre. Pfühl si limitava a sbuffare in segno di disprezzo volgendosi ora di qua ora di là, e mostrando così che non si sarebbe mai umiliato fino al punto di replicare alle assurdità che era costretto ad ascoltare. Quando il principe Volkonskij, che dirigeva il dibattito, lo invitò a esporre la sua opinione, si limitò a dire:
«A che scopo chiedere il mio parere? Il generale Armfelt ha proposto