si mette a gridare "Siamo tagliati fuori!" e si mette a fuggire, ma c'è un prode temerario che lancia un "Urrà!" un reparto di cinquemila uomini può valere trentamila, come avvenne a Schoengraben; altre volte, cinquantamila uomini fuggono davanti a ottomila, come è accaduto ad Austerlitz. Quale scienza può applicarsi a circostanze nelle quali (come in ogni impresa pratica) nulla può essere determinato e tutto dipende da innumerevoli fattori, il cui valore viene via via determinandosi in un istante che nessuno sa quando sopravvenga. Armfelt afferma che il nostro esercito è tagliato fuori; Paolucci garantisce che abbiamo messo l'esercito francese fra due fuochi; Michaux giura che il punto debole del campo della Drissa sta nel fatto di avere il fiume alle spalle, mentre Pfühl pretende che in questo risieda la sua forza. Toll espone un piano, Armfelt ne propone un altro. Tutti sono buoni e cattivi al tempo stesso: i vantaggi di ogni situazione risaltano solo nell'istante in cui si compie l'avvenimento. E che motivo hanno, tutti, di parlare di genio militare? È forse un genio l'uomo che ordini tempestivamente di far affluire le gallette? O al tale andare a destra o al talaltro a sinistra? Li chiamano geni solo perché gli uomini d'arme sono circonfusi da un'aureola di gloria e di potere, e la turba di vigliacchi adula ed esalta il potere attribuendogli le qualità del genio, che in realtà non possiede. È vero, per contro, che i migliori generali da me conosciuti sono persone stupide o distratte. Il migliore è Bagratiòn, lo stesso Napoleone lo ha riconosciuto. E Buonaparte! Ricordo bene come fosse limitata e soddisfatta di sé, la sua faccia sul campo di Austerlitz. Un buon condottiero non solo non ha bisogno né della genialità né di qualsivoglia altra virtù; al contrario, è bene che manchi delle migliori, delle più elevate qualità umane, come l'amore, la poesia, la finezza di sentimenti, il dubbio filosofico, la capacità speculativa.