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appariva nondimeno scontroso e taciturno. Beveva di malavoglia, cercava la solitudine e sembrava assorbito da un costante pensiero.   
   Rostov, in effetti, pensava di continuo a quella sua brillante impresa che, con sua meraviglia, gli aveva meritato la croce di San Giorgio e persino la reputazione di eroe, ma non riusciva assolutamente a capire una cosa. «Dunque, loro hanno ancora più paura di noi!» si diceva. «Allora è questo, il cosiddetto eroismo? Ed io ho forse agito per la patria? E che colpa ne ha, lui, con quella sua fossetta nel mento e quei suoi occhi azzurri? Come si è spaventato! Credeva che lo uccidessi. Ma perché avrei dovuto ucciderlo? Mi tremava la mano. E mi hanno dato la croce di San Giorgio! Mah! Non ci capisco proprio niente!»   
   Mentre Nikolaj rimuginava fra sé questi interrogativi senza trovare una risposta soddisfacente ai quesiti che tanto lo turbavano, la ruota della fortuna nella sua carriera, come sovente accade, si era messa a girare a suo vantaggio. Dopo l'episodio di Ostrovnja fu promosso di grado, gli diedero un battaglione di ussari e, quando avevano bisogno di un ufficiale coraggioso, affidavano a lui le missioni.   
   

   Capitolo XVI   

   
   Avuta notizia della malattia di Nataša, la contessa, ancora debole e non del tutto ristabilita, era giunta a Mosca insieme a Petja e a tutta la servitù. La famiglia Rostov al completo si era trasferita dalla casa di Mar'ja Dmitrievna nella propria, fissandosi definitivamente a Mosca.   
   La malattia di Nataša era così seria che, per fortuna sua e dei genitori, il pensiero di quella che era stata la causa della sua malattia, il suo modo di agire e la rottura con il fidanzato passarono in secondo

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