com'era, la principessina se ne stava lì e fissava senza timore il principe coi suoi sporgenti occhi grigi. Poi scosse il capo, e dopo aver sospirato guardò le immagini. Il suo gesto poteva essere inteso sia, come una manifestazione di tristezza e di devozione, sia come un gesto di stanchezza e di speranza di poter al più presto riposare. Il principe Vasilij intese il gesto, appunto, come un segno di stanchezza.
«E io allora,» disse, «credi che stia meglio? Je suis éreinté comme un cheval de poste, e tuttavia ho bisogno di parlare con te, Catiche, e molto seriamente.»
Il principe Vasilij tacque e le sue mascelle cominciarono a contrarsi nervosamente ora da un lato ora dall'altro, conferendo alla sua faccia un'espressione sgradevole che non affiorava mai quando egli si trovava in un salotto. Anche i suoi occhi non erano quelli di sempre: a tratti i suoi occhi apparivano sfrontati e quasi scherzosi, in altri momenti si guardavano in giro spaventati.
La principessina trattenendo sul grembo il cagnolino con le sue mani aride e magre scrutava gli occhi del principe Vasilij, ma si vedeva che non avrebbe rotto il silenzio con una sola domanda, anche se avesse dovuto restare in silenzio fino al mattino.
«Mia cara Katerina Semënovna,» proseguì il principe accingendosi, con palese sforzo, alla prosecuzione del suo discorso, «in momenti come questi bisogna pensare a ogni cosa. Bisogna pensare all'avvenire. Io... voglio bene a voi tutte come foste mie figlie, tu lo sai.»
La principessina continuava a guardarlo con gli stessi occhi scialbi e immobili.
«Bisogna infine pensare anche alla mia famiglia,» continuò il principe Vasilij allontanando con rabbia da sé il tavolino e senza guardarla, «tu