senso di consolazione. «Ma non è forse tutto eguale ormai?» pensava. «E che cosa succederà di là e che cos'è successo qui? Perché mi dispiaceva tanto separarmi dalla vita? C'era qualcosa in questa vita che io non ho capito e non capisco.»
Capitolo XXXVII
Uno dei medici, con il camice insanguinato, e con le piccole mani insanguinate, in una delle quali teneva un sigaro fra il mignolo e il pollice (per non insudiciarlo); questo medico, uscì dalla tenda, sollevò il capo e si mise a guardare intorno, ma al di sopra dei feriti. Evidentemente aveva voglia di riposarsi un po'. Dopo aver girato lo sguardo per un certo tempo, a destra e a sinistra, sospirò e abbassò gli occhi.
«Sì, subito,» rispose alle parole dell'infermiere che gli indicava il principe Andrej, e diede ordine di portarlo nella tenda.
Tra la folla dei feriti che aspettavano si levò un mormorio.
«Si vede che anche nell'altro mondo soltanto i signori hanno diritto di vivere,» proferì uno di loro.
Il principe Andrej fu portato dentro e deposto su un tavolo appena ripulito dal quale un infermiere faceva scolare via qualcosa. Il principe Andrej non poté distinguere in tutti i particolari ciò che c'era nella tenda. Lo distraevano i gemiti lamentosi che venivano da varie parti e un lancinante dolore alla coscia, al ventre e alla schiena. Tutto quello che vedeva intorno a sé si fondeva per lui in un'unica impressione generale di corpi umani nudi e insanguinati che sembravano riempire tutta la tenda bassa, come alcune settimane prima, in quella calda giornata d'agosto, gli