affamati, condotti dai loro capi, marciavano avanti. Altri ancora stavano dov'erano e continuavano a sparare.
Su tutto il campo, prima così gaio e così bello, con i suoi fulgori delle baionette e con il fumo dei fuochi nel sole del mattino, adesso incombeva una caligine di umidità e di fumo, e si librava uno strano odore di salnitro e di sangue. In cielo si erano addensate piccole nuvole e era cominciato a piovigginare sui morti, sui feriti, sugli uomini spaventati, esausti e dubbiosi. Come se la pioggia dicesse: «Basta, basta, uomini. Smettetela... Ritornate in voi. Che cosa fate?»
Agli uomini dell'una e dell'altra parte, spossati, affamati e senza riposo, cominciava tuttavia a venire il dubbio se bisognasse ancora annientarsi a vicenda, e su tutte le facce si vedeva l'esitazione e in ogni anima si sollevava in egual modo l'interrogativo: «Perché, per chi devo uccidere e essere ucciso? Ammazzate chi volete, fate quello che volete, ma io non ne voglio più sapere!» Questo pensiero, verso sera, maturò egualmente nella mente di tutti. Da un momento all'altro quegli uomini potevano inorridire di ciò che avevano fatto, abbandonare tutto e fuggire dove capitava.
Chi avesse guardato le retrovie scompigliate dell'esercito russo, avrebbe detto che ai francesi bastava fare ancora un piccolo sforzo e l'esercito russo sarebbe scomparso; e chi avesse guardato le retrovie dei francesi, avrebbe detto che ai russi bastava fare ancora un piccolo sforzo e i francesi sarebbero periti. Ma né i francesi, né i russi facevano questo sforzo e la fiamma della battaglia finiva lentamente di ardere.
I russi non facevano questo sforzo, perché non erano stati loro ad attaccare i francesi. Al principio della battaglia si erano semplicemente disposti sulla strada per Mosca, sbarrandola, e poi avevano continuato a