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ho ascoltato i vostri pareri. Alcuni non saranno d'accordo con me. Ma io (si fermò un istante), col potere conferitomi dal mio imperatore e dalla patria, io ordino la ritirata.»   
   Subito dopo i generali cominciarono ad allontanarsi con la stessa solenne e silenziosa discrezione con cui si allontanano gli intervenuti ad un funerale.   
   Alcuni generali riferirono qualcosa al comandante supremo a voce bassa, in tutt'altro tono da quando parlavano al consiglio.   
   Malaša, che già da un pezzo aspettavano per la cena, si lasciò scivolare giù cautamente dal soppalco, aggrappandosi con i piedini nudi alle sporgenze della stufa e sgattaiolò verso la porta intrufolandosi fra le gambe dei generali.   
   Congedati i generali, Kutuzov rimase a lungo seduto lì, i gomiti appoggiati al tavolo, continuando a cercare una risposta alla terribile domanda: «Quando, quando in realtà si è deciso che Mosca fosse abbandonata? Quando è avvenuto ciò che ha determinato la decisione, e di chi è la colpa?»   
   «Questa poi... questa non me l'aspettavo,» disse all'aiutante Schneider che entrò da lui a notte ormai inoltrata, «questa non me l'aspettavo! Questa non l'avrei mai creduta!...»   
   «Voi dovete riposare, Eccellenza,» disse Schneider.   
   «Ma no! Finiranno anche loro col mangiare la carne dei cavalli, come hanno fatto i turchi,» gridò Kutuzov senza rispondergli e battendo il pugno grassoccio sul tavolo, «sì, anche loro, non appena...»   
   

   Capitolo V   

   

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