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tormentato dal dolore alla gamba ferita, non dormiva e guardava con occhi sbarrati quella strana apparizione di una ragazza in camicia bianca, sottana e cuffia da notte. Le parole assonnate e spaventate del cameriere: «Che c'è, che volete?» ebbero il solo risultato di spingere Nataša più vicino a ciò che giaceva nell'angolo. Per quanto terribile, disumano fosse la vista di quel corpo, lei doveva vederlo. Oltrepassò il cameriere: il fungo formato dalla candela crollò giù, e a lei apparve chiaramente il principe Andrej sdraiato, con le mani poggiate sopra la coperta, così come l'aveva visto sempre.   
   Era uguale a sempre, ma il colore acceso delle sue guance, gli occhi lucidi, rapiti e fissi su di lei, e soprattutto quel tenero collo infantile che usciva dal colletto rovesciato della camicia, gli davano un singolare, innocente aspetto di fanciullo, che in lui non aveva ancora mai visto. Gli si avvicinò e con un movimento rapido, flessuoso, giovanile, si mise in ginocchio.   
   Lui sorrise e le tese la mano.   
   

   Capitolo XXXII   

   
   Erano passati sette giorni, per il principe Andrej, da quando aveva ripreso i sensi nel posto di medicazione del campo di Borodino. Per tutto quel tempo, era rimasto quasi ininterrottamente in stato d'incoscienza. La febbre e l'infiammazione agli intestini, che erano stati lesi, avrebbero finito, secondo il dottore che l'accompagnava, col portarselo via. Il settimo giorno, tuttavia, aveva mangiato con piacere una fettina di pane con il tè, e il dottore aveva constatato che la febbre stava diminuendo. Durante il mattino, il principe Andrej aveva ripreso conoscenza. La prima

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