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Orlov-Denisov avrebbero dovuto comparire, lungo il pendio scoperto, le nostre colonne. Il conte Orlov guardava in quella direzione, ma le colonne, che pure si sarebbero dovute scorgere anche da lontano, non si vedevano affatto. Nel campo francese - così parve al conte Orlov-Denisov, e soprattutto a un suo aiutante che aveva la vista molto acuta - qualcosa cominciava a muoversi.   
   «Ah, non c'è nulla da fare, è troppo tardi,» disse il conte Orlov dopo aver guardato ancora verso il campo.   
   Tutt'a un tratto, come spesso succede quando una persona, alla quale abbiamo creduto, non ci sta più davanti agli occhi, gli parve perfettamente chiaro ed evidente che quel sottufficiale era un impostore, che lo aveva imbrogliato e che questo avrebbe compromesso tutta l'intera offensiva, a causa della mancanza dei due reggimenti che quello avrebbe trascinato chissà dove. Come era possibile catturare il comandante in capo, in mezzo a un simile ammasso di truppe?   
   «Non c'è dubbio, ci ha mentito, quella canaglia,» esclamò il conte.   
   «Si fa ancora a tempo a richiamarli indietro,» disse uno del seguito che, non diversamente dal conte Orlov-Denisov, era stato preso da un senso di sfiducia per l'impresa dopo aver osservato il campo francese.   
   «Ah, così? Non c'è dubbio, vero?... Voi che ne dite, fermarli? Oppure no?»   
   «Cosa ordinate: farli tornare indietro?»   
   «Indietro, indietro!» disse, improvvisamente deciso, il conte Orlov, e lanciò un'occhiata all'orologio. «Ma ormai sarà tardi, però: c'è troppa luce!»   
   L'aiutante galoppò verso la foresta alla ricerca di Grekov. Tornato Grekov, il conte Orlov- Denisov, tutto sossopra sia per quel tentativo

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