scoperto nei soldati durante la battaglia di Borodino; l'aveva cercato nella filantropia, nella massoneria, nella superficialità della vita mondana, nel vino, in un eroico atto di abnegazione, nell'amore romantico per Nataša; l'aveva cercato nel campo del pensiero, ma ogni ricerca, ogni tentativo, l'aveva immancabilmente deluso. Ed ecco che, quando meno ci pensava, aveva trovato la tranquillità, l'armonia con se stesso: le aveva trovate attraverso l'orrore della morte, attraverso le privazioni e quanto aveva imparato da Karataev. I momenti terribili vissuti durante l'esecuzione sembravano aver cancellato per sempre dalla sua immaginazione e dalla sua memoria quei pensieri, quei sentimenti angosciosi che prima gli erano parsi così importanti. Non gli veniva più fatto di pensare alla Russia, né alla guerra, né alla politica, né a Napoleone. Vedeva ormai chiaro che tutte queste cose non lo toccavano direttamente, che ad esse non era chiamato e che, dunque, non poteva giudicarne. «Russia ed estate non sono alleate,» ripeteva le parole di Karataev, e queste parole gl'infondevano una strana calma. Adesso gli sembravano incomprensibili, e persino ridicoli, la sua intenzione di uccidere Napoleone e i suoi calcoli sulla cifra cabalistica e sulla belva dell'Apocalisse. Il suo rancore verso la moglie, la preoccupazione che il suo nome venisse disonorato, ormai non gli sembravano solo insignificanti, ma persino divertenti. Che cosa importava, a lui, del fatto che quella donna conducesse altrove la vita che più le piaceva? Cosa poteva importare a chicchessia, e a lui in particolare, che costoro venissero o no a sapere di aver fatto prigioniero il conte Bezuchov?
Si ricordava spesso, adesso, il suo colloquio con il principe Andrej, e si sentiva perfettamente d'accordo con lui, pur interpretandone il pensiero in modo un po' diverso. Il principe Andrej pensava e sosteneva