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di noi, generale.»   
   E Kutuzov sorrise con un'espressione che sembrava dire: «Voi avete tutto il diritto di non credermi e anche a me è del tutto indifferente che mi crediate o no, ma non avete motivo di dirmelo. La questione è tutta qui.»   
   Il generale austriaco aveva un'aria malcontenta, ma era tenuto a rispondere a Kutuzov nello stesso tono.   
   «Al contrario,» disse con un tono imbronciato e iracondo che contrastava con il contenuto lusinghiero delle parole che andava pronunciando, «al contrario, la partecipazione di vostra eccellenza all'opera comune è altamente apprezzata da sua maestà; ma noi supponiamo che l'attuale indugio privi le gloriose truppe russe e i loro comandanti di quegli allori che pur sono avvezzi a mietere in battaglia,» concluse. La frase era, evidentemente, già preparata.   
   Kutuzov fece un inchino senza modificare il suo sorriso.   
   «Io invece sono persuaso e ritengo, basandomi sull'ultima lettera di cui mi ha onorato sua altezza l'arciduca Ferdinando, che le truppe austriache, al comando di un così abile collaboratore qual è il generale Mack, abbiano già riportato una vittoria decisiva e non abbiano più bisogno del nostro aiuto,» disse Kutuzov.   
   Il generale si accigliò. Sebbene mancassero notizie determinanti sulla sconfitta degli austriaci, troppe circostanze confermavano le voci sfavorevoli che circolavano; e perciò la supposizione di Kutuzov circa una vittoria degli austriaci somigliava molto a una presa in giro. Ma Kutuzov sorrideva con mitezza, sempre con quella stessa espressione che diceva come lui avesse pieno diritto di supporre tutto questo. In effetti, l'ultima lettera che aveva ricevuto dall'armata di Mack, lo informava di

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