che ho riscosso dai possedimenti di Rjazan' l'ho trattenuto. A te non serve. Faremo i conti dopo.»
Ciò che il principe Vasilij designava come «i possedimenti di Rjazan'», si traduceva in alcune migliaia di rubli di contributi annui che egli tratteneva per sé.
A Pietroburgo, esattamente come a Mosca, Pierre si trovò circondato da una turba di gente cordiale e premurosa. Egli non poté rifiutare il posto, o meglio il titolo (perché non aveva niente da fare) che gli aveva procurato il principe Vasilij; e le conoscenze, gli inviti, gli impegni sociali erano tanti che Pierre, ancor più che a Mosca, provava una sensazione d'annebbiamento, di frenesia, e di un bene sempre imminente ma che non giungeva mai.
Molti della sua vecchia compagnia di scapoli mancavano da Pietroburgo. La Guardia era partita per la guerra, Dolochov era stato degradato, Anatol' era aggregato a un reggimento in provincia, il principe Andrej era all'estero; cosicché Pierre non poteva più trascorrere le sue notti come gli piaceva trascorrerle un tempo, né consolarsi di tanto in tanto conversando con un amico più anziano al quale portasse la sua stima. Tutto il suo tempo trascorreva in pranzi, in balli, e soprattutto in casa del principe Vasilij: in compagnia della grassa principessa sua moglie e della bellissima Hélène.
Anche Anna Pavlovna Šerer, come tutti gli altri, rivelava a Pierre il cambiamento avvenuto nei suoi confronti nell'opinione della società.
Prima, in presenza di Anna Pavlovna, Pierre sentiva sempre che quanto diceva riusciva sconveniente, goffo, inadatto alla circostanza; che quei discorsi, che gli parevano così intelligenti mentre li andava elaborando nella sua mente, diventavano stupidi non appena li proferiva ad alta voce,