di ogni altra cosa mostravano a Pierre la di lei superiorità. Ella aveva ragione di considerare qualunque ragionamento un'assurdità, in confronto a quel suo sorriso.
Gli si rivolgeva sempre con un sorriso felice, fiducioso, rivolto a lui solo, che esprimeva qualcosa di più del sorriso generico che abbelliva di continuo il suo viso. Pierre sapeva che tutti aspettavano soltanto che lui dicesse finalmente una parola, varcasse una certa linea, e sapeva che presto o tardi l'avrebbe varcata; ma una sorta di indefinibile sgomento s'impadroniva di lui al solo pensiero di quel terribile passo. Mille volte nel corso di quel mese e mezzo, durante il quale si era sentito trascinato sempre più in quell'abisso che lo atterriva, Pierre si era detto: «Ma cosa succede? Devo decidermi! Non ne sono capace, forse?»
Voleva decidersi, ma sentiva con spavento che in questa circostanza gli veniva meno la risolutezza che sapeva di possedere e che in effetti possedeva. Pierre apparteneva a quel genere di persone che sono forti solo quando si sentono assolutamente pure. E, dal giorno in cui s'era impadronita di lui quella sensazione di desiderio che aveva provato nel salotto di Anna Pavlovna, mentre era chino a esaminare la tabacchiera, la sensazione di colpevolezza che gli dava quel suo impulso incontrollato paralizzava la sua risolutezza.
Il giorno dell'onomastico di Hélène cenava dal principe Vasilij un piccolo gruppo di persone scelte fra le più intime, come diceva la principessa: parenti e amici, ai quali si era lasciato comprendere che in quel giorno doveva decidersi la sorte della festeggiata. Gli ospiti sedettero a tavola. La principessa Kuragina, una donna imponente, formosa, che un tempo era stata anche bella, sedeva al suo posto di padrona di casa. Accanto a lei sedevano, sui due lati, gli invitati di maggior