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crescere di recente. «Cammina, sbrigati,» gridò al postiglione. «E tu, Vasja, svegliati una buona volta,» aggiunse rivolto a Denisov che di nuovo aveva lasciato cader la testa sul petto. «E cammina, insomma; ti darò tre rubli di mancia. Cammina!» gridò ancora, quando la slitta era ormai a tre case di distanza dal portone d'ingresso.   
   Gli sembrava che i cavalli non si muovessero. Alla fine la slitta voltò a destra verso l'ingresso; sopra la sua testa Rostov vide il noto cornicione con le modanature di stucco sbrecciate, gli scalini d'accesso, il pilastrino del marciapiede. Saltò giù dalla slitta ancora in moto e corse dentro l'androne. La casa si ergeva immobile, poco ospitale, come se non le importasse nulla dei nuovi arrivati. Nell'androne non c'era nessuno. «Dio mio! Staranno tutti bene?» pensò Rostov, fermandosi per un istante col cuore sospeso; poi si lanciò di corsa attraverso il vestibolo e su per i noti scalini consumati. La solita maniglia della porta, (che era sempre sporca e la contessa se ne adirava) si aprì col consueto, debole scatto. In anticamera ardeva una candela di sego.   
   Il vecchio Michajlo dormiva seduto sulla cassapanca. Prokofij, quel domestico così forte da riuscire a sollevare una carrozza afferrandola da dietro, se ne stava seduto a intrecciare dei lapti Egli gettò un'occhiata alla porta che si apriva e il suo volto sonnolento e indifferente assunse di colpo un'espressione fra esultante e sgomenta.   
   «Santi benedetti! Il giovane conte!» gridò, riconoscendo il suo giovane padrone. «Oh, caro? Ma come? Com'è possibile?»   
   E Prokofij, tremando per l'emozione, si precipitò verso la porta del salotto, certo con l'intenzione di annunciarlo; ma poi ci ripensò; tornò sui suoi passi e afferrò in alto, verso la spalla, il braccio del giovane padrone.   

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