sforzo per accattivarsi la benevolenza di quella gente. Adesso accusavano lui solo di quanto era successo; dicevano che era un geloso maniaco, soggetto ad eccessi di collera furibonda come suo padre. E quando, dopo la partenza di Pierre, Hélène tornò a Pietroburgo, non soltanto venne accolta con cordialità da tutti i suoi conoscenti, ma con una sfumatura di rispetto che alludeva alla sua disgrazia. Hélène assumeva l'espressione dignitosa che aveva imparato a darsi grazie al tatto che le era proprio, pur non comprendendone il significato. Quest'espressione diceva che ella si era decisa, senza lagnarsi, a sopportare la propria disgrazia, e che suo marito era per lei una croce mandatale da Dio. Il principe Vasilij enunciava con meno riserbo la propria opinione. Quando il discorso cadeva su Pierre, egli si stringeva nelle spalle e, toccandosi la fronte, diceva:
«Un cerveau fêlé, je le disais toujours.»
«Io l'avevo detto fin dal principio,» diceva di Pierre Anna Pavlovna, «lo avevo detto subito, fin da allora e prima di ogni altro (ella insisteva sulla propria priorità) che era un giovane scriteriato, guastato dalle idee corrotte del nostro secolo. Io lo dicevo quando tutti si mostravano entusiasti di lui e lui era appena arrivato dall'estero; se vi ricordate, una sera da me si comportò come una specie di Marat. E come è andata a finire? Fin da allora, del resto, io non vedevo con favore questo matrimonio e avevo predetto tutto quello che sarebbe successo.»
Anna Pavlovna continuava come una volta a dare in casa sua dei ricevimenti nel corso dei quali si riuniva la crême de la véritable bonne société, la fine fleur de l'essence intellectuelle de la société de Pétersbourg, come diceva lei.
Ma oltre che per questa raffinata selezione degli invitati, le serate