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est une récompense, mais point une distinction,» obiettò uno dei diplomatici, «un cadeau plutôt.»   
   «Il y a plutôt des antécédents, je vous citerai Schwarzenberg.»   
   «C'est impossible,» replicò un terzo.   
   «Scommessa. Le grand cordon, c'est différent...»   
   Quando tutti si alzarono per andarsene, Hélène, che aveva parlato assai poco per tutta la sera, si rivolse di nuovo a Boris in termini di affabile e allusiva preghiera e gli ordinò di recarsi da lei il martedì successivo.   
   «Per me è molto importante,» disse con un sorriso, voltandosi a guardare Anna Pavlovna, la quale confermò il desiderio di Hélène con lo stesso triste sorriso che accompagnava le proprie parole quando alludeva alla sua alta protettrice.   
   Sembrava che quella sera, in virtù di poche parole pronunciate da Boris a proposito delle truppe prussiane, Hélène a un tratto avesse scoperto che le era necessario vederlo. In un certo senso lei pareva promettergli che martedì, quando egli si fosse recato da lei, gli avrebbe spiegato la ragione di tale necessità.   
   Il martedì sera, però, quando fu nel sontuoso salone di Hélène, Boris non ebbe la chiara spiegazione di come mai la sua presenza fosse necessaria. C'erano altri invitati, la contessa parlò assai poco con lui e, soltanto al momento del congedo, mentre egli le baciava la mano, con una strana assenza di sorriso, in modo del tutto inatteso gli bisbigliò:   
   «Venez demain diner... le soir. Il faut que vous veniez... Venez.»   
   Durante quel suo soggiorno a Pietroburgo, Boris divenne assiduo frequentatore della casa della contessa Bezuchova.   
   

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