rifornimenti sono arrivati.»
«Davvero!» commentarono gli ufficiali. «Saranno contenti, i soldati!»
Di qualche passo dietro gli ussari cavalcava Denisov, accompagnato da due ufficiali di fanteria con i quali stava discutendo animatamente. Rostov gli andò incontro.
«Io vi avverto, capitano,» diceva uno degli ufficiali, magro, basso di statura e visibilmente incollerito.
«Ve l'ho già detto che non vi do indietvo niente,» replicò Denisov.
«Ne risponderete, capitano; questa è insubordinazione: portar via i convogli! I nostri non mangiano da due giorni.»
«E i miei che non mangiano da due settimane,» rispose Denisov.
«Questo è brigantaggio! Ne risponderete, egregio signore!» ripeté l'ufficiale di fanteria alzando la voce.
«E voi che avete da stavmi addosso, eh?» si mise a gridare Denisov, scaldandosi. «Chi ne vispondevà savò io e non voialtvi; e voi smettetela di vonzave qui attovno finché siete intevi. Mavsc!» gridò contro gli ufficiali.
«Bella, questa!» gridò il piccolo ufficiale senza lasciarsi intimidire e senza allontanarsi. «Fate il bandito, e io...»
«Al diavolo! Mavsc e al passo di covsa, finché siete sani!» E Denisov rivolse il cavallo verso l'ufficiale.
«Bene, bene,» proferì l'ufficiale in tono di minaccia; poi, voltato il cavallo, si allontanò al trotto sobbalzando sulla sella.
«Un cane sullo steccato, un cane vivo sullo steccato,» gli gridò dietro Denisov (questa era la beffa peggiore che un ufficiale di cavalleria potesse fare a uno di fanteria). Denisov si avvicinò a Rostov e scoppiò a ridere: «L'ho povtato via alla fantevia, gliel'ho povtato via con la