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luogo fin proprio sulla soglia, e di nuovo, a distanza di due anni, vide quegli stessi lineamenti, quello stesso viso tanto amato, quello stesso sguardo, quella stessa andatura, quella stessa armonia di maestà e di mitezza... E nell'anima di Rostov risorse con lo stesso impeto di allora quel sentimento di entusiasmo e di amore per il sovrano. L'imperatore apparve sull'ingresso tenendo il cappello sotto il braccio e infilandosi un guanto; indossava l'uniforme del reggimento Preobraženskij: pantaloni bianchi di camoscio e alti stivali alla scudiera, nonché una decorazione che Rostov non conosceva (era la Légion d'honneur). Egli si fermò guardandosi attorno e irraggiando ogni cosa del suo sguardo. A uno dei generali rivolse qualche parola. Riconobbe anche colui che era stato il comandante della divisione di Rostov, gli sorrise e lo chiamò a sé.   
   Tutto il seguito si trasse in disparte e Rostov vide quel generale parlare di qualcosa, piuttosto a lungo, all'imperatore.   
   L'imperatore gli disse alcune parole e avanzò di un passo per accostarsi al cavallo. Di nuovo il seguito e la folla della strada, in mezzo alla quale si trovava Rostov, si accostarono a lui. Fermandosi vicino al cavallo e afferrando con una mano la sella, l'imperatore si rivolse al generale di cavalleria e disse a voce alta, evidentemente col proposito di farsi udire da tutti:   
   «Non posso, generale, e non posso per la ragione che la legge è più forte di me,» disse, e mise il piede nella staffa.   
   Il generale chinò ossequiosamente il capo, l'imperatore montò in sella e partì al galoppo lungo la strada. Fuori di sé per l'entusiasmo Rostov lo seguì correndo insieme con la folla.   
   

   Capitolo XXI   


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