carta che teneva in mano: erano quei versi scritti da Nikolaj, «... io non piangerei, ma tu non puoi... nessuno può capire... che anima è la sua.»
E Sonja riprese a piangere perché l'anima di Nikolaj era così bella.
«Tu sei felice... io non ti invidio... io ti voglio bene, e anche a Boris,» disse rincorandosi un poco, «lui è così caro... per voi non ci sono ostacoli. Ma Nikolaj è mon cousin... ci vuole... il metropolita in persona... e anzi, nemmeno quello. E poi se Vera dice alla mamma...» Sonja chiamava mamma la contessa, la considerava come sua madre, «... che io rovino la carriera di Nikolaj, che io non ho cuore, che sono un'ingrata, io davvero... ecco, davanti a Dio...» e si fece il segno della croce «... io voglio tanto bene a lei e a tutti voi; soltanto Vera ... Ma perché? Che cosa le ho fatto? Io vi sono così riconoscente che sarei contenta di dare per voi qualunque cosa, ma non ho niente...»
Sonja non poté più parlare e tornò a nascondere la testa fra le mani e nel piumino. Nataša cominciava a tranquillizzarsi, ma dalla sua faccia si capiva che comprendeva tutta la gravità del dolore della sua amica.
«Sonja!» disse a un tratto, come indovinando la vera causa di tanta afflizione. «Scommetto che Vera ha parlato con te dopo pranzo? È così?»
«Sì, questi versi li ha scritti Nikolaj e io gliene ho copiati degli altri; lei me li ha trovati sul tavolo e ha detto che li avrebbe mostrati alla mamma; e ha detto anche che io sono un'ingrata, che la mamma non avrebbe mai permesso a Nikolaj di sposarsi con me e che lui si sposerà con Julie. Hai visto anche tu che sono stati insieme tutto il giorno... Perché Nataša? Perché?...»
E di nuovo scoppiò a piangere, più amaramente di prima. Nataša la costrinse a sollevare, l'abbracciò e, sorridendo fra le lacrime, cercava di calmarla.