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attuazione concreta, non ne voleva sentir parlare. Si rallegrava persino degli insuccessi, perché gli smacchi dovuti dall'essersi scostati dalla teoria a favore della pratica non facevano che confermargli la validità della sua teoria.   
   Scambiò col principe Andrej e con Èernyšëv qualche rapida impressione sulla guerra in corso con l'aria di chi sa in anticipo come tutto sia destinato ad andare a rotoli e non ne sia nemmeno troppo scontento. Quelle ciocche arruffate di capelli si levavano dalla nuca e le tempie frettolosamente ravviate confermavano in modo eloquente il suo stato d'animo.   
   Passato nell'altra stanza, subito echeggiarono gli accenti bassi e aspri della sua voce.   
   

   Capitolo XI   

   
   Il principe Andrej non aveva ancora distolto gli occhi da Pfühl, che nella stanza entrò frettolosamente il conte Bennigsen. Fece un cenno di saluto col capo a Bolkonskij e s'avviò senza fermarsi nello studio, impartendo al tempo stesso le disposizioni del caso al suo aiutante. L'imperatore sarebbe sopraggiunto tra breve e Bennigsen lo aveva preceduto in gran fretta per preparare qualcosa e avere il tempo di ricevere degnamente il sovrano. Èernyšëv e il principe Andrej uscirono dalla scaletta d'ingresso. L'imperatore smontava in quel momento di cavallo con aria stanca. Paolucci gli andava dicendo qualcosa. L'imperatore, l'aria scontenta e il volto chino da una parte, ascoltava Paolucci che parlava, parlava, infervorandosi tutto. Poi l'imperatore si portò avanti, con l'evidente desiderio di troncare quella conversazione; ma l'italiano, il

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