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l'esigenza morale della malata e delle persone che alla malata volevano bene. Essi appagavano quell'eterno bisogno dell'uomo di sperare in un sollievo, il bisogno di partecipazione altrui, affettiva e attiva che l'uomo prova quando soffre. Soddisfacevano a quell'eterno bisogno umano - rilevabile, nella sua forma primitiva già nel bambino - che è il bisogno di nuocere e accarezzare la parte che ci duole. Il bambino si fa male e subito corre nelle braccia di sua madre, o della bambinaia, perché lo bacino e gli massaggino il punto che duole: e in effetti si sente meglio, quando lo massaggiano o gli baciano quel punto. Il bambino non può non credere che chi è tanto più forte e sapiente di lui non abbia i mezzi per alleviare il suo dolore. E la speranza di un sollievo, l'affetto e la tenera solidarietà di sua madre mentre massaggia il suo bernoccolo valgono a consolarlo. A Nataša i medici erano dunque utili perché baciavano e massaggiavano la «bua», assicurandole che sarebbe passata subito: bastava che il cocchiere fosse andato alla farmacia sull'Arbat e avesse comperato un rublo e sessanta copechi di polvere e pillole confezionate in vezzose scatolette, e che la malata avesse trangugiato quelle polveri sciolte in acqua bollita rispettando rigorosamente un intervallo di due ore tra una dose e l'altra.   
   Che cos'avrebbero fatto Sonja, il conte e la contessa? Come avrebbero potuto starsene a guardare la debole Nataša che dimagriva a vista d'occhio, senza far nulla, se non ci fossero state quelle pillole all'ora stabilita, le bevande tiepide, la costolettina di pollo e tutte quelle regole di vita spicciole che il dottore prescriveva e la cui osservanza rappresentava l'occupazione e la consolazione di chi circondava la malata? Quanto più severe e complicate erano queste regole, tanto più consolante era la cosa per chi la circondava. Come avrebbe sopportato, il conte, la

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