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tanto più calmo e altero quanto maggiori erano il dolore e la vergogna che le struggevano l'anima. Sapeva di esser bella, e in questo non si sbagliava; ma ora tale consapevolezza non la rallegrava più come un tempo. Al contrario, negli ultimi tempi questo era ciò che più d'ogni altra cosa la tormentava; e tanto più ora in questa serena giornata estiva, a Mosca. «Ancora una domenica, ancora una settimana,» si diceva, ricordando la sua venuta qui la domenica scorsa; sempre la stessa vita senza vita, sempre lo stesso ambiente nel quale era così facile vivere, prima. «Sono bella, sono giovane, e so che adesso sono buona. Prima ero cattiva, ma adesso sono buona, lo so,» pensava, «e intanto gli anni migliori passano così, senza scopo, senza qualcuno per cui vivere.» Si mise accanto alla madre e scambiò un cenno del capo, a mo' di saluto, con alcuni conoscenti accanto a loro. Per abitudine Nataša guardava le toilettes delle signore, criticò la tenue di una signora che le stava vicino e quel suo sconveniente, affrettato farsi il segno della croce con brevi gesti della mano; poi ripensò con dispetto che gli altri criticavano lei, come lei criticava gli altri. Poi, all'improvviso, udendo la voce dei celebranti inorridì della propria bassezza, inorridì al pensiero di aver perduto di nuovo la purezza dei giorni precedenti.   
   Un vecchio tranquillo e di bell'aspetto officiava con quella mite solennità che agisce in modo tanto solenne e tranquillante sulle anime dei devoti. La porta reale si chiuse, lentamente si spiegò la cortina e di là una voce sommessa e misteriosa proferì qualcosa. Nataša sentì che le lacrime le opprimevano il petto, senza che lei riuscisse a capirne la ragione e un sentimento di gioia e di languore indicibile le sommuoveva il cuore.   
   «Insegnami quel che devo fare, come correggermi per sempre, per

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