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il braccio con un colpo di ginocchio, afferrò il biscotto e, come se avesse paura di non arrivare a tempo, gridò di nuovo «urrà!» con voce ormai arrochita.   
   Il sovrano si ritirò, dopo di che la maggior parte della folla si disperse definitivamente.   
   «Lo dicevo io che bisognava aspettare! È stato proprio così!» si udiva ripetere qua e là in tono di giubilo.   
   Per quanto Petja fosse felice, lo rattristava il pensiero di tornare a casa e la consapevolezza che tutta la gioia di quella giornata era ormai finita. Perciò dal Cremlino andò dal suo amico Obolenskij, che aveva quindici anni e a sua volta intendeva arruolarsi nell'esercito. Finalmente, tornato a casa, dichiarò in modo fermo e risoluto che se non l'avessero lasciato andare, sarebbe fuggito. E il giorno dopo, pur non essendosi ancora del tutto arreso, il conte Il'ja Andreiè andò a informarsi dove fosse possibile sistemare Petja in modo che corresse il minor pericolo.   
   

   Capitolo XXII   

   
   Tre giorni dopo, la mattina del 15, presso palazzo Slobodskij, sostava un folto stuolo di carrozze.   
   Le sale erano gremite. Nella prima c'erano i nobili in uniforme; nella seconda i mercanti, barbuti, in caffettano blu e con tanto di medaglie. Nella sala dell'assemblea nobiliare c'era gran movimento e clamore di voci. Presso una grande tavola, sotto il ritratto dell'imperatore, sedevano in alti scranni dignitari più eminenti; ma la maggior parte dei nobili passeggiava su e giù per la sala.   

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