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   Pierre, tuttavia, si sentiva elettrizzato: anch'egli era stato contagiato da quel diffuso sentimento per il quale occorreva dimostrare che nulla ci faceva paura; e tale stato d'animo si esprimeva più attraverso le voci e l'espressione dei visi che non per mezzo del significato di tutti quei discorsi. Non aveva rinnegato le sue idee, ma si sentiva colpevole di qualcosa e desiderava in qualche modo riscattarsi.   
   «Io ho detto soltanto che noi potremmo offrire il nostro aiuto se sapessimo esattamente di che cosa c'è bisogno,» disse, cercando di superare le altre voci.   
   Un vecchio che gli stava più vicino si voltò verso di lui, ma fu subito distratto da un grido che risuonò all'altro capo del tavolo.   
   «Sì, Mosca sarà abbandonata! Sarà lei a espiare per tutti!» gridò una voce.   
   «Quell'uomo è il nemico del genere umano!» urlò un altro.   
   «Permettetemi di parlare... Signori, così mi soffocate...»   
   

   Capitolo XXIII   

   
   In quel momento entrò a passo affrettato il conte Rastopèin, passando davanti alla folla degli aristocratici che gli facevano largo. Era in uniforme da generale, con la fascia a tracolla, con quel suo mento prominente e quegli occhi mobilissimi e penetranti.   
   «Sua Maestà l'imperatore sta per arrivare,» disse. «L'ho lasciato poc'anzi. Credo che, data la situazione nella quale ci troviamo, non ci sia molto da discutere. L'imperatore si è degnato di riunire noi e la classe mercantile,» aggiunse. «Di là sgorgheranno i milioni - e indicò la sala ove erano radunati i mercanti - mentre sarà nostro dovere fornire

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