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milizie e non risparmiare noi stessi... È il meno che possiamo fare!»   
   Cominciarono le consultazioni fra i soli dignitari seduti alla tavola. Tutta la consultazione si svolse in tono composto e sommesso. Ne veniva addirittura un'impressione di malinconia, dopo tutto il clamore di poc'anzi. Si udirono, una alla volta, quelle voci senili che dicevano: «Sono d'accordo!»; oppure, per variare: «Anch'io sono dello stesso parere», e via di questo passo.   
   Fu dato ordine al segretario di scrivere la deliberazione della nobiltà di Mosca, in forza di cui tutti i proprietari moscoviti - come già quelli di Smolensk - offrivano dieci uomini su ogni mille dotati di equipaggiamento completo. I signori in seduta si alzarono come alleggeriti di un peso, spostando gli scranni con fragore, e s'avviarono qua e là per la sala onde sgranchire le gambe. Prendevano a braccetto il primo che capitava e chiacchieravano fra loro.   
   «L'imperatore! L'imperatore!» echeggiò un grido di sala, e tutta la folla si affrettò verso l'ingresso.   
   L'imperatore entrò nella sala lungo lo spazio lasciato libero dai nobili assiepati. Su tutti i visi si dipinse un sentimento di riverente e spaurita curiosità. Pierre era abbastanza discosto e non riuscì a udire distintamente le parole del sovrano. Capì soltanto, da ciò che aveva potuto captare, che l'imperatore parlava del pericolo in cui versava la Nazione e delle speranze che egli riponeva nell'aristocrazia moscovita. Al sovrano rispose una voce che annunciava la deliberazione presa proprio allora dalla nobiltà.   
   «Signori!» s'impose, rotta da un tremito la voce dell'imperatore.   
   La folla mormorò, poi tacque di nuovo e Pierre udì distintamente la voce così amabile, così umana e commossa dell'imperatore mentre diceva:   

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