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metà deferente e a metà ironico che fece impallidire la principessina. «Ora è in gran pensiero per quella nuova costruzione. Ha letto un poco e adesso,» aggiunse Michail Ivanyè, abbassando la voce «è seduto al suo bureau; credo che si stia occupando del proprio testamento.»   
   Negli ultimi tempi una delle occupazioni preferite del principe era quella di dedicarsi alle carte destinate a rimanere dopo la sua morte e che lui chiamava testamento.   
   «E Alpatyè, poi, ha deciso di mandarlo, a Smolensk?» domandò la principessina Mar'ja.   
   «Come no? È un pezzo che è pronto, e aspetta!»   
   

   Capitolo III   

   
   Quando Michail Ivanyè tornò nello studio con la lettera, il principe sedeva davanti al bureau con gli occhiali e una visiera sugli occhi e l'abat-jour sulla candela. Teneva delle carte nella mano, assai discosta, e in atteggiamento alquanto solenne leggeva questi incartamenti (le sue rémarques, come lui le chiamava), che dovevano venir rimessi all'imperatore dopo la sua morte.   
   Quando Michail Ivanyè entrò, il principe aveva le lacrime agli occhi, ricordando il tempo in cui aveva scritto le cose che in quel momento stava leggendo. Prese la lettera dalle mani di Michail Ivanyè, e se la infilò in tasca, poi ripose le carte e chiamò Alpatyè che già da un pezzo era in attesa.   
   Su un foglietto di carta aveva già annotato ciò che gli occorreva a Smolensk; nondimeno diede ulteriori disposizioni, passeggiando su e giù per la stanza davanti ad Alpatyè che attendeva sulla soglia.   

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