condurlo in sua presenza. Voleva parlargli di persona. Vari aiutanti scattarono via al galoppo, e un'ora dopo Lavruška, quel servitore di Denisov, che quest'ultimo aveva ceduto a Rostov, giungeva da Napoleone in giubba da attendente, a cavallo di una sella della cavalleria francese, con una faccia brilla e astuta da piccolo furfante. Napoleone gli ordinò di seguirlo, cavalcando al suo fianco, e prese a interrogarlo:
«Siete cosacco?»
Nikolaj Andreeviè si avvicinò al principe Vasilij. «Sì, Eccellenza. Cosacco.»
«Le cosaque ignorant la compagnie dans laquelle il se trouvait, car la simplicité de Napoléon n'avait rien qui pût révéler à une imagination orientale la présence d'un souverain, s'entretint avec la plus extrême familiarité des affaires de la guerre actuelle,» dice Thiers, raccontando quest'episodio.
In effetti Lavruška, che si era ubriacato al punto da lasciare il suo padrone senza pranzo, il giorno prima era stato frustato e spedito in cerca di galline in un villaggio, dove si era abbandonato ai piaceri del saccheggio ed era stato fatto prigioniero dai francesi. Lavruška era uno di quei servitori rozzi e sfrontati che, avendone viste di tutti i colori, si reputano autorizzati a fare tutto quello che fanno con slealtà e sotterfugio; che sono pronti a rendere qualsiasi servizio al loro padrone e astutamente indovinano i peggiori pensieri del padrone, specie quelli di vanità e grettezza.
Venuto a trovarsi a tu per tu con Napoleone, la cui identità aveva ravvisato con la massima prontezza e facilità, Lavruška non si confuse affatto e non pensò ad altro se non a entrare nelle grazie dei suoi nuovi padroni.