sintomi di miglioramento, ma anzi, coltivando il desiderio di cogliere in lui i sintomi d'una prossima fine.
Per quanto la principessina riconoscesse con sbigottimento il sorgere in lei d'un simile stato d'animo, non poteva peraltro negarne la realtà. E ciò che alla giovane donna appariva ancor più atroce era il fatto che, dal momento in cui suo padre era stato colpito dalla malattia (se non forse prima, quando, nell'inconscia attesa di qualcosa, essa aveva deciso di restare al suo fianco) si erano destati in lei speranze e aspirazioni personali, sopite e addirittura obliate. Ciò che da anni non le si affacciava più alla mente - il pensiero di una vita libera, senza quell'eterno terrore del padre e persino l'ipotesi di un possibile amore, un'intima felicità - senza tregua sommuovevano la sua fantasia come una tentazione diabolica. E per quanto lei si sforzasse di allontanarli da sé, di continuo le si presentavano alla mente gli interrogativi sul possibile assetto che, dopo avvenuta la cosa, avrebbe dato alla propria esistenza. Erano tentazioni diaboliche, la principessina Mar'ja lo sapeva. Sapeva che l'unica arma contro di esse era la preghiera e perciò si sforzava di pregare. Si poneva in raccoglimento, teneva lo sguardo rivolto alle icone, recitava meccanicamente le parole della preghiera, ma non riusciva a pregare. Sentiva che di lei, ora, si era impossessato un altro mondo: il mondo della vita quotidiana, libera e laboriosa, affatto opposta al mondo spirituale entro i cui schemi era rimasta chiusa fino allora, e nel quale il miglior conforto era la preghiera. Non riusciva a pregare e non riusciva a piangere, e le preoccupazioni della vita quotidiana la dominavano tutta.
Restare a Boguèarovo diventava pericoloso. Da ogni parte si vociferava dell'avvicinarsi dei francesi; in un villaggio a quindici verste da