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vita con lui, e in ogni azione, in ogni parola di suo padre, trovava l'espressione dell'amore che lui le portava. A tratti, in mezzo a questi ricordi, s'insinuavano nella sua immaginazione le tentazioni diaboliche; il pensiero di ciò che sarebbe avvenuto quando lui fosse morto, e di quale fisionomia avrebbe assunto quella sua nuova, libera esistenza. Ma ella respingeva con repulsione questi pensieri. Verso mattina lo udì quietarsi e finalmente si lasciò vincere dal sonno.   
   Si svegliò ad ora avanzata. La limpida visione interiore che talvolta caratterizza il momento del risveglio, le prospettò in chiari termini ciò che più l'assillava nella malattia del padre. Si svegliò, prestò l'orecchio a quanto avveniva dietro la porta, e udendo quel rantolo sempre uguale, si disse con un sospiro che il vecchio era sempre nello stesso stato.   
   «Ma che cosa doveva esserci? Che cosa volevo, dunque? Io voglio la sua morte!» proruppe, in preda a un moto di orrore per se stessa.   
   Si vestì, si lavò, disse le preghiere e si affacciò alla scala d'ingresso. All'entrata era ferma una carrozza senza cavalli su cui i servi stavano caricando i bagagli.   
   La mattina era tiepida e grigia. La principessina Mar'ja si fermò sull'ingresso, tuttora turbata nel proprio intimo dalla repulsione per i suoi indegni sentimenti e cercando di mettere ordine nei propri pensieri prima di entrare nella stanza del padre.   
   Il dottore scese le scale e le si avvicinò.   
   «Oggi sta un poco meglio,» disse. «Vi stavo appunto cercando. È possibile capire qualcosa di quel che dice, ha la mente più lucida. Venite. Vi chiama...»   
   A questa notizia il cuore della principessina Mar'ja prese a battere

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