porta. «Perché mai questa gente dall'aria spaventata cerca di trattenermi? Io non ho bisogno di nessuno! E che cosa stanno facendo qui?» Aprì la porta e la luce abbagliante del giorno in quella stanza, prima sempre immersa nella penombra, la lasciò atterrita. Nella stanza c'erano alcune donne e la njanja. Tutte si scostarono dal letto per lasciarla passare. Egli giaceva sempre nella medesima posizione, ma l'aspetto grave del suo viso tranquillo arrestò la principessina Mar'ja sulla soglia della stanza.
«No, non è morto, non può essere!» si disse. Si avvicinò, e vincendo il terrore che si era impadronito di lei, premette le labbra sulla guancia del padre. Ma subito se ne staccò. In un attimo tutta la forza della tenerezza che provava per lui, si dissolse e lasciò posto a un sentimento di terrore per ciò che le stava davanti. «Lui, lui non c'è più! Lui non c'è, ma qui, qui dove c'era lui, c'è qualcosa di estraneo e di ostile, un terribile, spaventoso, repellente mistero...» E coprendosi il volto con le mani, la principessina Mar'ja cadde fra le braccia del dottore che la sostenne.
In presenza di Tichon e del dottore le donne lavarono ciò che era stato il principe: gli fasciarono la testa con un fazzoletto perché la bocca non s'irrigidisse spalancata e con un altro fazzoletto legarono le gambe che tendevano a divaricarsi. Poi lo vestirono con l'alta uniforme, gli misero le decorazioni e deposero su un tavolo il piccolo corpo rinsecchito. Dio sa chi e quando svolse queste mansioni, ma tutto avvenne come per moto proprio. Verso sera intorno alla bara ardevano i ceri, sulla bara era stesa una coltre, sul pavimento era sparso il ginepro. Sotto il capo rinsecchito del morto era stata collocata una prece stampata; in un angolo