e tranquilla. A mezzanotte le voci cominciarono a chetarsi. Si udì il canto di un gallo; dietro i tigli emerse la luna piena, mentre si levava, bianca e rorida, la nebbiolina causata dalla guazza. Poi sulla casa e sul villaggio regnò il silenzio.
L'una dopo l'altra le si riprospettavano le scene del recente passato: della malattia e degli ultimi momenti di suo padre. E con mesta gioia lei si fermava su queste immagini, respingendo da sé con orrore solo l'ultima visione, quella della sua morte, che, lei lo sentiva, non era in grado di contemplare nemmeno nella propria immaginazione, in quell'ora silenziosa e misteriosa della notte. E quelle scene le apparivano con tanta chiarezza e con tale dovizia di particolari, che le sembravano a tratti una realtà trascorsa, a tratti una realtà proiettata nel futuro.
Ora le appariva al vivo il momento nel quale lui era stato assalito dal primo colpo e l'avevano trascinato a forza di braccia dal giardino di Lysye Gory; e lui farfugliava qualcosa muovendo la lingua impotente, contraendo le sopracciglia canute e volgendo verso di lei quello sguardo inquieto e intimidito.
«Fin da quell'istante lui voleva dirmi quello che mi ha detto il giorno della sua morte,» pensò. «Ha continuato a pensare quello che mi ha detto.» Ed ecco tornarle alla memoria in tutti i particolari la notte a Lysye Gory, la vigilia del giorno in cui aveva avuto il colpo; quando lei, presaga della disgrazia, aveva deciso di restare al suo fianco contro la sua volontà. Non aveva dormito. Durante la notte era scesa in punta di piedi e, avvicinandosi alla porta della serra dove quella notte pernottava suo padre, aveva porto l'orecchio alla sua voce. Egli parlava a Tichon con voce rotta dalla stanchezza. Diceva qualcosa della Crimea, di certe notti tiepide, dell'imperatrice. Evidentemente aveva voglia di parlare. «Perché