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contrario...»   
   «Io, al vostro Napoleone non mi assoggetterò. Gli altri facciano come vogliono... Se voi non volete farlo...»   
   «Sì, lo farò, darò subito l'ordine.»   
   La principessina, evidentemente, era rimasta contrariata di non aver nessuno contro cui arrabbiarsi. Mormorando qualcosa, si sedette su una sedia.   
   «Ma vi riferiscono le cose in modo inesatto,» disse Pierre. «In città tutto è calmo, e non c'è nessun pericolo. Ecco, ho letto proprio ora...» Pierre mostrò alla principessa i manifesti. «Il conte scrive che garantisce, sulla sua vita, che il nemico non entrerà in Mosca.»   
   «Ah, questo vostro conte,» si mise a dire con astio la principessina, «è un ipocrita, un mascalzone, che ha istigato lui stesso il popolo alla rivolta. Non è forse lui a scrivere in quei balordi manifesti che, chiunque capitasse a tiro, bisogna trascinarlo per il ciuffo al commissariato (come questo è stupido!). Chi avrà acciuffato qualcuno, dice, avrà onori e gloria. Bel modo di lusingare la gente. Varvara Ivanovna mi ha detto che la gente per poco non l'ammazzava per aver pronunciato qualche frase in francese...»   
   «Sono cose che accadono... Voi vi prendete tutto troppo a cuore!» disse Pierre e cominciò a disporre le carte per un altro solitario.   
   Benché il solitario fosse riuscito, Pierre non partì per il fronte, ma rimase nella città ormai deserta, aspettando sempre in preda alla stessa ansia, alla stessa indecisione, nella paura e insieme nella gioia, qualcosa di terribile.   
   Il giorno dopo, verso sera, la principessina partì, e a Pierre si presentò l'amministratore generale, venuto apposta a informarlo che i

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