mentali per capire quale fosse l'essenza dell'imminente battaglia, ma sentiva con rammarico che le sue capacità d'intelletto non bastavano a tanto. Non capiva assolutamente niente. Bennigsen cessò di parlare e, notando la figura di Pierre che lo ascoltava, gli domandò a un tratto, volgendosi a lui:
«Penso che per voi non sia interessante, no?»
«Ah, al contrario, mi interessa molto,» rispose Pierre non del tutto sincero.
Dalle flèches, cavalcarono ancora più a sinistra, lungo una strada che si snodava attraverso un bosco fitto e poco alto di betulle. Nel mezzo del bosco, proprio davanti a loro, balzò, sulla strada, una lepre rossiccia con le zampe bianche e, spaventata dallo scalpiccio di tutti quei cavalli, si smarrì talmente che per un bel pezzo saltellò sulla strada dinanzi a loro, attirando gli sguardi e suscitando le risate generali, e solo quando alcune voci proruppero in un grido, si buttò da un lato e scomparve nella macchia. Dopo aver percorso circa due verste nel bosco, sbucarono su una radura, dove si trovavano le truppe del corpo d'armata di Tuckov, che doveva proteggere il fianco sinistro.
Qui, all'estremità del fianco sinistro, Bennigsen parlò a lungo e con calore, e diede disposizioni, così parve a Pierre, importanti dal punto di vista militare. Davanti allo schieramento delle truppe di Tuckov si ergeva un'altura non occupata dalle truppe. Bennigsen criticò ad alta voce quest'errore, dicendo che era una pazzia lasciare scoperta un'altura che dominava la posizione e disporre le truppe sotto di essa. Alcuni generali espressero la medesima opinione. Uno, in particolare, con foga militare diceva che le truppe erano state condotte là come carne da macello. Bennigsen, d'autorità, ordinò di spostare le truppe sull'altura.