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il principe Andrej.   
   «Abile condottiero,» disse Pierre, «be', è quello che prevede tutte le eventualità... be', che intuisce i pensieri dell'avversario.»   
   «Ma questo è impossibile,» esclamò il principe Andrej come se parlasse di una cosa risolta da un pezzo.   
   Pierre lo guardò stupito.   
   «Comunque,» disse, «si dice pure che la guerra è simile a una partita a scacchi.   
   «Sì,» disse il principe Andrej, «ma con la piccola differenza che a scacchi puoi pensare quanto vuoi a ogni passo, che sei fuori delle condizioni del tempo, e ancora con la differenza che il cavallo è sempre più forte del pedone e due pedoni sempre più forti di uno solo, mentre in guerra certe volte un battaglione è più forte di una divisione, e altre volte più debole di una compagnia. Il rapporto di forza delle truppe non può essere noto ad alcuno. Credimi,» proseguì, «che se dipendesse dalle disposizioni degli stati maggiori, io sarei là a dare delle disposizioni; ma invece ho l'onore di servire qui, in un reggimento, con questi signori, e ritengo che il domani dipenderà effettivamente da noi e non da loro... Il successo non è mai dipeso e non dipenderà mai né dalla posizione, né dall'armamento, né dal numero, ma, in ogni caso, men che mai dalla posizione.»   
   «E da che cosa, allora?»   
   «Dal sentimento che c'è in me, in lui,» e indicò Timochin, «in ogni soldato.»   
   Il principe Andrej diede un'occhiata a Timochin che guardava sbigottito e perplesso il suo comandante. Contrariamente alla sua controllata taciturnità di prima il principe Andrej sembrava adesso commosso.

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