nessuno. I vetri delle piccole finestre tintinnavano. Il palafreniere lo scuoteva stando in piedi sopra di lui.
«Eccellenza, Vostra Eccellenza, Vostra Eccellenza...»
«Sentite le cannonate,» disse il palafreniere, che era un soldato in congedo, «tutti i signori sono già usciti, anche Sua Altezza Serenissima è passato da un bel pezzo.»
Pierre si vestì in fretta e corse sulla scalinata. Fuori era chiaro, fresco, rorido e gaio. Il sole, emerso in quel momento da una nuvola che lo nascondeva, brillò con i suoi raggi tagliati per metà dalla nube, oltre i tetti della strada di fronte, sulla polvere della strada ricoperta di rugiada, sui muri delle case, sulle finestre del recinto e sui cavalli di Pierre, fermi presso l'isba. Fuori, il rombo dei cannoni si udiva più distintamente. Sulla strada passò al trotto un aiutante di campo con un cosacco.
«È ora, conte, è ora!» gridò l'aiutante.
Dopo aver ordinato al palafreniere di seguirlo col cavallo, Pierre si incamminò per la strada verso il tumulo dal quale il giorno prima aveva guardato il campo di battaglia. Su quel tumulo c'era una folla di militari, si udiva il parlare in francese degli ufficiali dello stato maggiore e si scorgeva la testa bianca di Kutuzov, con il suo berretto bianco orlato di rosso e con la nuca canuta, affondata nelle spalle. Kutuzov guardava davanti a sé sulla strada maestra con il cannocchiale.
Salito su per gli scalini che davano accesso al tumulo, Pierre guardò davanti a sé attonito ed estatico di fronte alla bellezza dello spettacolo. Era lo stesso panorama che aveva ammirato il giorno prima da quel tumulo: ma adesso tutto quello spazio era ricoperto dal e truppe e dal fumo degli spari, e i raggi obliqui del sole fulgente che si levava