trascinavano via i morti e si portavano via i feriti.
A ogni nuovo colpo sempre minori probabilità di vita rimanevano per coloro che non erano ancora stati uccisi. Il reggimento era disposto in colonne di battaglione su un'estensione di trecento passi, ma, nonostante questo, tutti gli uomini del reggimento si trovavano sotto il dominio del medesimo stato d'animo. Tutti gli uomini del reggimento erano egualmente taciturni e cupi. Di rado si udiva parlottare fra le file, ma questo parlottio cessava ogni volta che si sentiva un colpo cogliere il segno e il grido: «Barelle!» Per ordine dei superiori, gli uomini del reggimento stavano per la maggior parte del tempo, sdraiati a terra. Chi, toltosi il cheṕ, con cura ne apriva e poi ne riuniva di nuovo le pieghe; chi lustrava la baionetta con l'argilla secca sminuzzata nel palmo delle mani; chi stirava la cinghia e tirava la fibbia; chi scioglieva con cura e si rifaceva le fasce e si metteva di nuovo le calzature. Alcuni costruivano casette di fuscelli o intrecciavano treccioline con la paglia delle stoppie. Tutti sembravano completamente immersi in queste occupazioni. Quando degli uomini venivano feriti e uccisi, quando passavano file di barelle, quando i nostri tornavano indietro, quando attraverso il fumo si scorgevano grandi masse di nemici, nessuno rivolgeva la minima attenzione a questi fatti. Quando invece l'artiglieria o la cavalleria passavano, andando avanti, quando si vedevano i movimenti della nostra fanteria, da ogni parte si udivano parole di approvazione. Ma la maggiore attenzione era suscitata da avvenimenti del tutto estranei, che non avevano alcun rapporto con la battaglia. Come se l'attenzione di quegli uomini, moralmente spossati, si riposasse in questi avvenimenti comuni e della vita di ogni giorno. Una batteria d'artiglieria pasṣ davanti allo schieramento del reggimento. Uno dei cavalli di fianco si era impigliato