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le orme lasciate dai falciatori sul prato; altre volte ancora, contando i propri passi, calcolava quante volte avrebbe dovuto andare da un limite all'altro per percorrere una versta; oppure strappava dei fiorellini d'assenzio che crescevano sul limite del prato e, strofinandoli fra le palme delle mani ne aspirava il profumo acre e amarognolo. Di tutto il lavorio del pensiero del giorno prima non era rimasto nulla. Ora non pensava a nulla. Con orecchio stanco prestava ascolto sempre agli stessi suoni, distinguendo il sibilo delle palle dal boato degli spari, osservava i visi già fin troppo noti, degli uomini del primo battaglione e aspettava. «Eccola... questa arriva di nuovo da noi!» pensava ascoltando il fischio che si avvicinava dalla zona chiusa del fumo. «Una, due! Ancora! Segno!...» Si fermò e guardò fra le file. «No, è passata via. Ma questa ha colto nel segno.» E di nuovo si metteva a camminare, sforzandosi di fare passi lunghi per arrivare in sedici passi al limite del prato.   
   Un fischio e un colpo! A cinque passi da lui una pallottola sconvolse la terra arida e scomparve. Un involontario brivido gli corse per la schiena. Guardò di nuovo le file. Probabilmente molti erano già caduti; presso il secondo battaglione si era raccolta una gran folla.   
   «Signor aiutante,» gridò, «date ordine che non si ammassino.»   
   Eseguito l'ordine, l'aiutante si avvicinò al principe Andrej. Dall'altra parte si avvicinava a cavallo il comandante del battaglione.   
   «Attento!» si udì il grido spaventato di un soldato e, come un uccello sibilante che si posa a terra in un volo fulmineo, a due passi dal principe Andrej, accanto al cavallo del comandante del battaglione, una granata cadde con un tonfo poco rumoroso. Il cavallo per primo, senza domandare a nessuno se fosse bene o male mostrar paura, sbuffò, s'impennò facendo quasi ruzzolare il maggiore e fece uno scarto. Il terrore del

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