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case e una metà degli averi, agirono così sotto l'influsso di quel segreto (latent) patriottismo che non si esprime nelle belle frasi, nell'uccidere i figli per la salvezza della patria e in altre simili azioni innaturali, ma che si esprime impercettibilmente, semplicemente, organicamente e perciò produce sempre i più grandi risultati.   
   «È vergognoso fuggire di fronte al pericolo; soltanto i vigliacchi fuggono da Mosca,» dicevano a costoro. Rastopèin, con i suoi proclami, tentava di convincerli che fuggire da Mosca era un'ignominia. Si vergognavano di esser chiamati vigliacchi, si vergognavano di partire e tuttavia partivano, perché sapevano che così bisognava fare. Perché partivano? Non si può supporre che Rastopèin li avesse spaventati prospettando gli orrori perpetrati da Napoleone nei territori conquistati. Partivano e per primi partivano i ricchi, le persone colte, quelle che sapevano bene che Vienna e Berlino erano rimaste intatte e che laggiù, sotto l'occupazione napoleonica, i civili avevano passato allegramente il loro tempo assieme agli affascinanti francesi, che tanto piacevano, allora, agli uomini russi e soprattutto alle donne.   
   Partivano perché ogni russo nemmeno si chiedeva se, sotto il dominio francese, a Mosca si sarebbe stati bene o male. Sotto il dominio francese non si poteva stare: era quanto di peggio potesse esservi. Partirono ancora prima della battaglia di Borodino, e ancora più rapidamente dopo la battaglia di Borodino, nonostante gli appelli alla difesa, nonostante le dichiarazioni del comandante supremo di Mosca circa il suo proposito di portare in processione l'Iverskaja e di andare a battersi; e nonostante i palloni aerostatici che dovevano annientare i francesi, e nonostante tutte le stupidaggini   che scriveva Rastopèin nei suoi proclami. Sapevano che il compito di battersi spettava all'esercito e, se quello non ci riusciva,

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