giorno si ripeteva la stessa scena: alla principessina si confondeva la vista, essa non vedeva e non udiva nulla; sentiva soltanto, vicinissimo a sé, l'asciutto viso del padre severo; sentiva il suo respiro e il suo odore e pensava soltanto al modo di andarsene al più presto dallo studio e cercare di capire il problema in camera sua in libertà. Il vecchio andava su tutte le furie: scostava e avvicinava con fracasso la poltrona sulla quale era seduto; faceva uno sforzo per dominarsi, ma quasi sempre finiva per scaldarsi, per imprecare, e talvolta scaraventava via il quaderno.
La principessina sbagliò la risposta.
«E poi non saresti stupida!» gridò il principe allontanando il quaderno e volgendosi rapidamente dall'altra parte, ma poi subito si alzò in piedi, prese a passeggiare, venne a sfiorare con la mano i capelli della principessina e di nuovo si mise a sedere.
Le si fece accosto e continuò la spiegazione.
«Così non si può, principessina, così non si può,» disse, quando la principessina, dopo aver preso e richiuso il quaderno con le lezioni assegnatele, già si preparava ad andarsene. «La matematica è una grande cosa, illustre signorina. E io non voglio che tu assomigli a tante nostre stupide signore. Abbi pazienza e finirai per amare la matematica.» Le diede un buffetto sulla guancia. «Vedrai che la scioccheria se ne andrà via dalla tua testa.»
Lei fece per andarsene, ma lui la fermò con un gesto e prese dalla tavola un libro nuovo ancora intonso.
«Eccoti qua una certa Chiave del mistero: te la manda la tua Eloisa. Religione. Io non m'immischio nella fede di nessuno... Ho dato un'occhiata. Prendi. Adesso va', va'!» Le diede un colpetto sulla spalla e le richiuse la porta alle spalle.