compenetrarsi di ciò che li rende così come sono! Ma come gettar via tutto questo superfluo, diabolico fardello, tutto il peso delle apparenze esteriori? Una volta avrei potuto essere così. Avrei potuto fuggire via da mio padre, come appunto volevo. Ancora dopo il duello con Dolochov avrei potuto esser mandato a fare il soldato...» E nella sua immaginazione balenarono il pranzo al club, durante il quale aveva sfidato Dolochov, e poi il suo benefattore a Toržok. Ed ecco apparire dinanzi a Pierre intorno a un grande tavolo, una solenne adunanza della loggia massonica. L'adunanza si svolge al club inglese. E una persona conosciuta, intima, cara, sta seduta all'estremità della tavola. Ma sì è lui! È il benefattore. «Ma non è morto?» pensò Pierre. «Sì, è morto; ma io non sapevo che fosse vivo. E come mi dispiace che sia morto e come sono contento che sia di nuovo vivo!» Da una parte della tavola erano seduti Anatole, Dolochov, Nesvitskij, Denisov e altri come loro (nel sogno la categoria di queste persone era nettamente definita per Pierre, altrettanto definita della categoria di quegli altri che chiamava loro), e quelle persone: Anatole, Dolochov, gridavano forte, cantavano; ma, tra il chiasso che facevano, si udiva la voce del benefattore che parlava senza posa, e il suono delle sue parole che, altrettanto significativo e continuo del rombo sul campo di battaglia, era però piacevole e consolante. Pierre non capiva ciò che diceva il benefattore, ma sapeva (anche la categoria delle idee era chiara nel sogno), che il benefattore parlava del bene, della possibilità di essere ciò che erano loro. E loro da tutte le parti, coi loro visi semplici, buoni, risoluti, facevano cerchio intorno al benefattore. Ma sebbene fossero buoni, loro non guardavano Pierre, non lo conoscevano. Pierre voleva attirare la loro attenzione e parlare. Si alzò in piedi, ma in quello stesso istante le sue