Verešèagin...»
«Nous y voilà,» gridò Rastopèin con voce ancora più forte di prima interrompendo Pierre e aggrottando le sopracciglia. «Verešèagin è un traditore e riceverà il trattamento che si merita,» disse coll'ardore e la collera con cui parlano le persone ricordando un'offesa. «Ma io non vi ho chiamato per discutere del mio operato, vi ho chiamato per darvi un consiglio, o un ordine, se volete. Vi prego di rompere ogni relazione con gente come Kljuèarëv e di partire di qui. Ci penserò io a cavare le ubbie dalle teste di chiunque volesse insistere...» E, rendendosi probabilmente conto che non c'era motivo di urlare contro Bezuchov, prese amichevolmente per un braccio Pierre e aggiunse:«Nous sommes à la veille d'un désastre publique, et je n'ai pas le temps de dire des gentillesses à tous ceux qui ont affaire à moi. Certe volte mi gira la testa! Eh bien, mon cher, qu'est ce que vous faites, vous personellement?»
«Mais rien,» rispose Pierre, sempre senza alzare gli occhi e senza mutare l'espressione pensierosa del viso.
Il conte si accigliò.
«Un conseil d'ami, mon cher. Décampez et au plutôt, c'est tous ce que je vous dis. A bon entendeur salut! Addio, mio caro. Ah, sì,» gli gridò ancora dalla porta, «è vero che la contessa è cascata nelle grinfie des saints pères de la Société de Jésus?»
Pierre non rispose nulla e uscì dal gabinetto di Rastopèin cupo e accigliato come non s'era visto mai.
Quando arrivò a casa, era già buio. Lo aspettavano otto persone diverse. Il segretario del comitato, il colonnello del suo battaglione, l'amministratore, il maggiordomo e vari postulanti. Tutti venivano a