allora di amare lui di più, molto di più degli altri suoi figli. Quanto più si avvicinava il momento del ritorno a Mosca dell'atteso Petja, tanto più aumentava l'inquietudine della contessa. Già pensava che non le sarebbe mai toccato di godere di tanta felicità. La presenza non solo di Sonja, ma dell'amata Nataša, e persino quella del marito, la irritavano. «Che me ne importa di loro, non mi interessa nessuno all'infuori di Petja!» pensava.
Negli ultimi giorni di agosto i Rostov ricevettero una seconda lettera da Nikolaj. Scriveva dalla provincia di Voronež, dove era stato mandato a comprare dei cavalli. Questa lettera non tranquillizzò la contessa. Sapendo uno dei suoi figli fuori pericolo, cominciò a preoccuparsi ancora di più per Petja.
Sebbene già dal 20 agosto quasi tutti i conoscenti dei Rostov fossero partiti da Mosca, sebbene tutti esortassero la contessa a partire al più presto, lei non voleva sentir parlare di partenza finché non fosse tornato il suo tesoro, l'adorato Petja. Il 28 agosto Petja arrivò. La morbosa, appassionata tenerezza con la quale la madre lo accolse, non piacque all'ufficiale sedicenne. Benché la madre gli nascondesse la sua intenzione di non lasciarlo più sfuggire di sotto le sue ali, Petja capì il suo piano e, temendo istintivamente di intenerirsi, di diventare una femminuccia (così diceva tra sé) accanto alla madre, con lei si comportava freddamente, la evitava e, durante la sua permanenza a Mosca, accettò esclusivamente la compagnia di Nataša, per la quale aveva sempre avuto una particolare tenerezza fraterna, quasi da innamorato.
A causa dell'abituale leggerezza del conte, il 28 agosto nulla era ancora pronto per la partenza e i carri attesi dalle compagne di Rjazan e di Mosca per trasportare tutta la roba di casa, arrivarono solamente il