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contessa si rivolgevano a lei quando bisognava dare degli ordini. Petja e Nataša, al contrario, non soltanto non aiutavano i genitori, ma continuavano a disturbare e infastidire tutti. Riempivano la casa di grida, di chiasso, e di risate senza motivo. Ridevano ed erano allegri non perché ci fosse una precisa ragione, ma perché erano pieni, nell'intimo, di felicità e di gioia, e perciò, qualunque occasione si presentasse, era per loro motivo di gioia e di riso. Petja era allegro perché, partito di casa ragazzo, c'era tornato (come gli dicevano tutti) da giovane valoroso; era allegro, perché si trovava a casa, perché da Belaja Cerkov', dove non c'era speranza di capitar presto in mezzo ai combattimenti, era venuto invece a Mosca dove non avrebbe tardato a battersi; ed era allegro soprattutto, perché Nataša, dal cui umore era sempre stato influenzato, era allegra. E Nataša era allegra perché per troppo tempo era stata triste e adesso nulla le ricordava il motivo della sua tristezza; e poi stava bene di salute. E ancora era allegra, perché c'era una persona che l'ammirava (l'ammirazione entusiastica degli altri era quel grasso alle ruote, indispensabile perché la macchina della sua vita si movesse del tutto liberamente), e Petja appunto l'ammirava. Ma soprattutto erano allegri perché la guerra era sotto Mosca, perché si andava a battersi sui bastioni, perché distribuivano le armi, perché tutti scappavano, partivano per chissà dove, perché, in genere, succedeva qualcosa di insolito, il che per gli uomini è sempre motivo di gioia, specialmente per i giovani.   
   

   Capitolo XIII   

   
   Il 31 agosto, sabato, in casa Rostov tutto era sottosopra. Tutte le porte erano spalancate, tutti i mobili portati fuori o spostati, specchi e

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