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   Disse che quel giorno il popolo aveva prelevato le armi al Cremlino, che anche se nel manifesto di Rastopèin si diceva che sarebbe stato dato l'allarme fra un paio di giorni, erano già state date disposizioni affinché l'indomani tutta la popolazione si recasse in armi alle Tri Gory, dove si sarebbe svolto un gran combattimento.   
   La contessa guardava con timida apprensione il volto allegro ed eccitato di suo figlio, mentre veniva raccontando quelle cose. Sapeva che se avesse detto una sola parola, se l'avesse pregato di non andare a quella battaglia (era sicura che lui era entusiasta dello scontro imminente), Petja avrebbe risposto chissà cosa a proposito degli uomini, dell'onore, della patria: cose così insensate, maschili, testarde, che non si sarebbe potuto replicare nulla e la faccenda sarebbe stata definitivamente compromessa. Perciò, sperando di combinare le cose in modo di poter partire prima e di portar via con sé Petja, in qualità di difensore e protettore, non gli diceva nulla. Dopo pranzo chiamò il conte e, con le lacrime agli occhi, lo supplicò di condurla via al più presto, quella notte stessa, se era possibile. Con femminile, istintiva scaltrezza, lei, che fino a quel momento non aveva mostrato la minima paura, adesso diceva che sarebbe morta di spavento se non fossero partiti quella notte stessa. E non fingeva; ora aveva davvero paura di tutto.   
   

   Capitolo XIV   

   
   M.me Schoss, che era andata a trovare sua figlia, accrebbe più che mai lo spavento della contessa raccontandole ciò che aveva visto in un deposito di alcolici di via Mjasnitskaja. Ritornando per quella strada, non aveva potuto proseguire verso casa per la presenza di una folla

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