ubriaca che tumultuava davanti al deposito. Aveva preso una carrozza di piazza ed era rientrata a casa facendo un lungo giro per i vicoli; il vetturino le aveva raccontato che il popolo spaccava le botti del deposito, giacché tale era l'ordine.
Dopo pranzo tutti i componenti della famiglia Rostov si accinsero con entusiastico impegno all'imballaggio degli oggetti e ai preparativi per la partenza. Il vecchio conte, che nel pomeriggio era improvvisamente divenuto attivo, non smetteva di andare dalla casa al cortile e viceversa, urlando ordini sconclusionati alla servitù e facendole ancor più fretta. Petja dava ordini in cortile. Sonja non sapeva che cosa fare sotto l'incalzare dei contradditori ordini del conte e finiva col perdere completamente la testa. I servitori, urlando, discutendo e facendo un gran chiasso, correvano su e giù per le stanze e il cortile. Nataša, con l'ardore che metteva sempre in tutte le cose, si era messa improvvisamente all'opera anche lei. Dapprima il suo intervento nel lavoro d'imballaggio fu accolto dagli altri con diffidenza. Da lei tutti si aspettavano soltanto scherzi e non volevano darle retta; ma, con ostinazione e accanimento, lei esigeva che le obbedissero, si arrabbiava, quasi piangeva a vedere che non le davano ascolto, e infine riuscì ad ottenere la loro fiducia. La sua prima impresa, che le costò immensi sforzi e le conferì definitiva autorità, fu l'imballaggio dei tappeti. Il conte aveva in casa dei preziosi gobelins e tappeti persiani. Quando Nataša si mise al lavoro, nel salone c'erano due casse aperte: una era già piena fin quasi all'orlo di porcellane, l'altra di tappeti. Molte altre porcellane erano ancora sui tavoli e se ne continuavano a portare dalla dispensa. Bisognava cominciare una nuova, terza cassa e gli uomini andarono a prenderla.
«Sonja, aspetta, possiamo sistemare tutto così,» disse Nataša.