rivolse al conte con la stessa preghiera per il suo signore.
«Oh, sì, sì, sì,» s'affrettò a dire il conte. «Ne sarò lieto, molto lieto. Vasiliè, disponi tu, fa sgomberare uno o due carri, insomma quello che occorre...» disse il conte impartendo istruzioni in termini assai vaghi.
Ma nello stesso istante la calorosa espressione di riconoscenza dell'ufficiale consolidò le sue intenzioni. Il conte si guardò attorno: nel cortile, nell'andito del portone, alle finestre del padiglione, ovunque c'erano feriti e attendenti. Tutti guardavano il conte e avanzavano verso la scalinata.
«Vogliate salire in galleria, eccellenza; che cosa ordinate per quanto riguarda i quadri?» disse il maggiordomo.
E il conte entrò insieme a lui nella casa, ripetendo il suo ordine di non respingere i feriti che chiedessero di partire.
«D'altra parte credo che si possa scaricare qualcosa,» aggiunse con voce sommessa e furtiva, come se temesse di essere udito da qualcuno.
Alle nove si svegliò la contessa, e Matrëna Timofeevna, sua antica cameriera, che ora presso di lei svolgeva le funzioni di capo dei gendarmi, venne a riferire alla sua signora che Mar'ja Karlovna era molto offesa e che gli abiti estivi delle signorine non potevano restare lì. Quando la contessa chiese perché m.me Schoss fosse tanto offesa, si scoprì che il suo baule era stato tolto da un carro e che tutti i carri venivano slegati, e al posto delle casse venivano caricati i feriti che il conte, nella sua semplicità, aveva dato ordine di portar via con loro. La contessa fece chiamare in camera il marito.
«Cos'è, mio caro, questa cosa che m'hanno riferito? Scaricano la roba?»