«No, ho sentito...» disse Nataša. «E perché la mamma non vuole?»
«Ma di che t'impicci?» ripeté il conte urlando.
Nataša se ne andò alla finestra e rimase pensierosa.
«Papà, arriva Berg,» esclamò a un tratto, guardando fuori dalla finestra.
Capitolo XVI
Berg, genero dei Rostov, era già colonnello con tanto di Vladimir e di Anna al collo e occupava sempre lo stesso tranquillo e piacevole posto di vicecapo di Stato Maggiore del vice-capo di Stato Maggiore del primo settore del secondo corpo d'armata.
Il I° settembre, proveniente dall'armata, era arrivato a Mosca.
A Mosca non aveva nulla da fare, ma aveva notato che tutti chiedevano di venire dall'esercito a Mosca e che qui facevano chissà che cosa. Perciò anche lui aveva ritenuto necessario chiedere una licenza per motivi domestici e familiari.
Era arrivato in casa del suocero col suo elegante calessino tirato da un paio di cavalli bai ben pasciuti, uguali a quelli che aveva un certo principe di sua conoscenza. Guardò attentamente i carri in cortile e, salendo per la scala d'ingresso, tirò fuori un fazzoletto tutto lindo e vi fece un nodo.
Dall'anticamera entrò con passo agile e impaziente nel salotto e abbracciò il conte, baciò la mano a Nataša e a Sonja e si affrettò a informarsi della salute della mammina.
«Che c'entra adesso la salute? Su, racconta invece,» disse il conte, «che fa l'esercito? Si ritira o ci sarà ancora battaglia?»