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   «Solo l'eterno Dio, papà,» disse Berg, «può decidere i destini della patria. L'esercito è infiammato di eroismo e adesso i capi si sono riuniti a consiglio. Che cosa succederà, non lo sa nessuno. Ma da un punto di vista generale, posso dirvi, papà, che tanto eroismo, tanto autentico e antico coraggio quanto l'esercito russo hanno... ha...» si corresse, «mostrato, o dimostrato, nella battaglia del 26 agosto, non esistono parole adatte per descriverlo... Io vi dico, papà (si batté il petto come se l'era battuto un generale che aveva raccontato la cosa in sua presenza, ma un po' troppo tardi, perché bisognava battersi il petto alle parole «l'esercito russo»), «io vi dico apertamente che noi superiori non soltanto non dovevamo incitare i soldati, o roba del genere, ma riuscivamo a fatica a trattenere simili, simili... simili eroiche, antiche gesta di coraggio,» disse con fretta precipitosa. «Il generale Barclay de Tolly ha rischiato costantemente la vita in testa ai suoi soldati, ve lo dico io. Il nostro corpo d'armata era disposto sul pendio del monte. Potete immaginarvi...»   
   E qui Berg raccontò tutto quello che ricordava dei vari racconti che aveva ascoltato in quei giorni. Nataša, senza mai staccare da Berg il suo sguardo imbarazzante, lo fissava come se cercasse sul suo viso la soluzione di un problema.   
   «Insomma, l'eroismo dimostrato dai soldati russi non si può immaginare né descrivere degnamente!» disse Berg, girandosi a sua volta a guardare Nataša, e come cercando d'ingraziarsela con un sorriso in risposta al suo sguardo ostinato. «La Russia non è a Mosca, è nei cuori dei suoi figli! È così, papà, non è vero?» continuò Berg.   
   In quel momento dalla stanza dei divani uscì la contessa, con la stanchezza e lo scontento dipinti sul volto. Berg saltò su in fretta,

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