Gerasim. «Volete andare nello studio?» Pierre annuì con un gesto del capo.
«Lo studio è rimasto sigillato. Sofija Danilovna ha lasciato ordine che, se fosse venuto qualcuno da parte vostra, gli fossero consegnati i libri.»
Pierre entrò nella tetra stanza, la stessa in cui con tanta trepidazione entrava quando il suo benefattore era ancora in vita. Lo studio, adesso impolverato e non più toccato da nessuno fin dalla morte di Iosif Alekseeviè, era più tetro che mai.
Gerasim aprì un'imposta e uscì dalla stanza in punta di piedi. Pierre fece il giro dello studio, si avvicinò all'armadio in cui stavano i manoscritti e prese uno dei più importanti cimeli dell'ordine. Era l'originale di atti scozzesi, con annotazioni e glosse del benefattore. Si sedette alla scrivania polverosa e si mise davanti il manoscritto, lo sfogliò, lo richiuse, e, infine, dopo averlo allontanato da sé, si appoggiò con la testa fra le mani e s'immerse nei suoi pensieri.
Più d'una volta, con estrema discrezione, Gerasim venne a dare un'occhiata nello studio, e vide Pierre seduto sempre nello stesso atteggiamento. Passarono più di due ore. Gerasim si permise di fare un leggero rumore dietro la porta per attirare l'attenzione di Pierre. Pierre non lo sentì.
«Ordinate di rimandar indietro il vetturino?»
«Ah, sì,» disse Pierre, riscuotendosi dalle sue meditazioni e affrettandosi a levarsi in piedi. «Senti,» disse poi, prendendo Gerasim per un bottone della giacca e fissando dall'alto in basso il vecchio, con occhi splendenti di entusiasmo, umidi di lacrime. «Senti, lo sai che domani ci sarà una battaglia?»