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   Alla vista di quella strana città, dalle strane forme della sua insolita architettura, Napoleone provava quella curiosità un po' invidiosa e inquieta che gli uomini provano alla vista delle forme di una vita estranea e che li ignora. Era evidente che quella città viveva, e viveva nel pieno di tutte le sue energie vitali. In base a quegli indizi indefiniti, grazie ai quali anche a grande distanza si riconosce senza tema d'errore un corpo vivo da uno morto, dal monte Poklonnaja Napoleone sentiva il palpitare della vita nella città e quasi avvertiva il respiro di quel grande e magnifico corpo.   
   Ogni russo, guardando Mosca, prova la sensazione di trovarsi al cospetto di una madre; ogni straniero, guardandola e ignorandone il carattere materno, deve però sentirne almeno la femminilità: questo accadde anche a Napoleone.   
   «Cette ville asiatique aux innombrables églises, Moscou la sainte! La voilà donc enfin, cette fameuse ville! Il était temps...» disse Napoleone e, smontato da cavallo, diede ordine che gli spiegassero davanti la pianta topografica di quella Moscou, e chiamò a sé l'interprete Lelorme d'Ideville. «Une ville occupée par l'ennemi ressemble à una fille qui a perdu son honneur,» pensava (come aveva già detto a Tuèkov a Smolensk).   
   E in questo stato d'animo continuava a guardare la bella orientale che mai aveva visto e che giaceva distesa ai suoi piedi. Sembrava strano perfino a lui che si fosse finalmente esaudito l'antico suo desiderio, che un tempo gli era sembrato irrealizzabile. Nella limpida luce del mattino guardava ora la città, ora la carta, verificando in essa i particolari della città, e la sicurezza del possesso lo emozionava e lo spaventava.   
   «Ma poteva forse essere altrimenti?» pensò. «Eccola qui, la metropoli, ai miei piedi, che attende il compiersi del suo destino. Dov'è ora

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